Guenon commenta lo Shankaracharya

LO STATO SPIRITUALE DELLO YOGI: L’IDENTITÀ SUPREMA
Riprendendo in esame lo stato dello Yogi, che, in virtù della Conoscenza, è «liberato nella vita» (jivan-mukta) ed ha realizzato l’«Identità Suprema», citeremo ancora Shankaracharya (Atma-Bodha) ... riunendo differenti passaggi di questo trattato ... in merito appunto allo stato dello Yogi ed alle possibilità, le più alte che l’essere può raggiungere.

«Lo Yogi, il cui intelletto è perfetto, contempla tutte le cose come contenute in se stesso (nel suo proprio “Sé”, senza distinzione alcuna di esteriore ed interiore), e così, per l’occhio della Conoscenza (Jnana-chakshus, espressione che potrebbe essere resa abbastanza esattamente con «intuizione intellettuale»), egli perrcepisce (o meglio concepisce, non razionalmente o discorsivamente, ma per coscienza diretta ed «assentimento» immediato) che ogni cosa e Atma.
«Egli conosce che tutte le cose contingenti (le forme e le altre modalità della manifestazione) non sono altro che Atma (nel loro principio), e che al di fuori di Atma nulla vi è, «poiché le cose differiscono semplicemente (secondo il Veda) in designazione, accidente e nome, come gli utensili terrestri ricevono diversi nomi, quantunque siano soltanto forme differenti di terra» [Vedi Chhandogya Upanishad, 6° Prapathaka, 1° Khanda, shruti 4 a 6]; così egli percepisce (o concepisce, nello stesso senso che più sopra abbiamo specificato) che è lui stesso tutte le cose (poiché non vi è cosa alcuna che sia un essere altro che lui od il suo proprio «Sé») [Notiamo a proposito che Aristotele, nel Περι Ψυχης, espressamente dichiara che «l’anima è tutto ciò che essa conosce»; troviamo in questa asserzione un avvicinamento abbastanza netto fra la dottrina aristotelica e quelle orientali, malgrado le riserve che sempre s’impongono per la differenza dei punti di vista; ma questa affermazione, per Aristotele e per i suoi continuatori, è restata puramente teorica. Si deve dunque ammettere che le conseguenze di quest’idea di una tale identificazione per la Conoscenza, nella realizzazione metafisica, sono restate del tutto insospettate dagli Occidentali, escludendo certe scuole propriamente iniziatiche, che non hanno comune misura con ciò che abitualmente è chiamato «filosofia»].
«Quando gli accidenti (formali ed altri, che comprendono tanto la manifestazione sottile quanto quella grossolana) sono soppressi (poiché esistono solamente in modo illusorio ed in verità non sono nulla dinnanzi al Principio), il Muni (qui sinonimo di Yogi entra, con tutti gli esseri (in quanto essi non sono più distinti da lui) nell’Essenza che tutto penetra (e che è Atma) [«Il Principio è sopra ogni cosa, è a tutto comune, tutto contiene e tutto penetra; l’Infinità è il suo attributo, il solo col quale si possa specificarlo, poiché non ha un nome che gli sia proprio» (Tchouang-tseu, cap. XXV; trad. del P. Wieger, p. 437)].
«Egli è senza qualità (distinte), senza azione [Cfr. il «non-agire» della tradizione estremo-orientale]; imperituro (akshara, non soggetto alla dissoluzione, che pregiudica la sola molteplicità), senza volizione (riferita ad un atto definito od a circostanze determinate), tutto Beatitudine, immutabile, senza forma, eternamente libero e puro (poiché non può essere turbato in qualsiasi modo da un altro che lui stesso; quest’altro infatti non esiste, o per lo meno la sua esistenza è illusoria, mentre lo Yogi è nella realtà assoluta).
«Egli è come l’Etere (Akasha), diffuso dappertutto (senza differenziazione), e che simultaneamente penetra l’interno e l’esterno delle cose [L’ubiquità è qui il simbolo dell’onnipresenza, nel senso già attribuito alla parola]; è incorruttibile, imperituro; egli è sempre lo stesso in tutte le cose (non una modificazione potendo turbare la sua identità), puro, impassibile, inalterabile (nella sua immutabilità essenziale).
«Egli è (secondo le parole stesse del Veda) «il Supremo Brahma, che è eterno, puro, libero, solo (nella perfezione assoluta), incessantemente pieno di Beatitudine, senza dualità, Principio (incondizionato) di ogni esistenza, conoscente (senza che questa Conoscenza implichi una qualsiasi distinzione fra soggetto ed oggetto, ciò che sarebbe contrario alla «non-dualità»), e senza fine».
«Egli è Brahma, dopo il cui possesso niente può essere ancora posseduto; dopo la cui Beatitudine non vi é punto altra felicità che possa desiderarsi; dopo la cui Conoscenza non vi e un’altra conoscenza che possa essere ottenuta.
«Egli è Brahma, che, visto (dall’occhio della Conoscenza), nessun altro oggetto può più essere contemplato; poiché, quando si è identificati a Lui, non è più possibile subire alcuna modificazione (come nascita o morte); e, quando Lo si è percepito (ma tuttavia non come oggetto percepibile da una qualunque facoltà), niente più vi è da percepire (poiché ogni conoscenza distintiva è allora superata e come svanita).
«Egli è Brahma, dappertutto ed in tutto diffuso (poiché nulla vi è al di fuori di Lui, tutto essendo necessariamente contenuto nella Sua Infinità) [Ricorderemo ancora questo testo taoista che già abbiamo citato più ampiamente: «Non domandate se il Principio è in questo od in quello; Esso è in tutti gli esseri»... (Tchoang-tseu, cap. XXII; trad. del P. Wieger, p. 395)]: nello spazio intermediario, in ciò che è sopra ed in ciò che è sotto (vale a dire nell’insieme dei tre mondi); il vero, pieno di Beatitudine, senza dualità, indivisibile, eterno.
«Egli è Brahma, affermato nel Vedanta come assolutamente distinto da ciò che penetra (che, invece, non è affatto distinto da Lui, o per lo meno se ne distingue solamente in modo illusorio) [Ricordiamo che questa irreciprocità nella relazione di Brahma e del Mondo implica espressamente la condanna tanto del «panteismo» come di qualunque forma d’«immanentismo»], incessantemente pieno di Beatitudine, senza dualità.
«Egli è Brahma, «da cui (secondo il Veda) è prodotta la vita (jiva), il senso interno (manas), le facoltà di sensazione e d’azione (jnanendriya e karmendriya), e gli elementi (tanmatra e bhuta) che compongono il mondo manifestato (sia nell’ordine sottile che in quello grossolano)».
«Egli è Brahma, in cui tutte le cose sono unite (di là da ogni distinzione, anche principiale), da cui tutti gli atti dipendono (quantunque Egli stesso sia senza azione); perciò è diffuso in tutto (senza divisione, dispersione, o differenziazione di qualsiasi specie).
«Egli è Brahma, senza grandezza o dimensioni (incondizionato), senza estensione (poiché indivisibile e senza parti), senza origine (essendo eterno), incorruttibile, senza forma, senza qualità (determinate), senza assegnazione o carattere qualunque.
«Egli è Brahma, da cui tutte le cose sono illuminate (partecipando alla Sua essenza secondo i loro gradi di realtà), la cui Luce fa brillare il sole e gli altri corpi luminosi, ma che non è punto reso manifesto dalla loro luce [Secondo un testo già precedentemente citato, Egli è «Ciò per cui tutto è manifestato, ma che non è manifestato da nulla» (Kena Upanishad, 1° Khanda, shruti 5 a 9].
«Egli penetra lui stesso la sua propria essenza eterna (non differente dal Supremo Brahma), e (simultaneamente) contempla il Mondo intero (manifestato e non-manifestato), come essendo (anche) Brahma, parimenti che il fuoco penetra intimamente una palla di ferro incandescente e (contemporaneamente) si mostra esteriormente (manifestandosi ai sensi in luce e calore).
«Brahma non è affatto simile al Mondo [L’esclusione di ogni concezione panteista è qui reiterata; in presenza di affermazioni tanto nette, non riusciamo a spiegarci certi errori d’interpretazione così in voga in Occidente], e niente è al di fuori di Brahma (poiché, se vi fosse alcunché al di fuori di Lui, Egli non potrebbe essere infinito); ciò che sembra esistere al di fuori di Lui non può punto avere (una tale) esistenza, purché non la si voglia intendere in modo illusorio, come l’apparenza dell’acqua (miraggio) nel deserto (maru) [Questa parola maru, derivata dalla radice mri, «morire», specifica regioni sterili, interamente sprovviste d’acqua, e più precisamente un deserto sabbioso, il cui aspetto uniforme può considerarsi come un «appoggio» di meditazione per evocare l’idea dell’indifferenziazione principiale].
«Di tutto quello che è visto, udito (percepito o concepito da una qualunque facoltà), niente ha (veramente) esistenza se è al di fuori di Brahma; in virtù della Conoscenza (principiale e suprema), Brahma è contemplato come solo vero, pieno di Beatitudine, senza dualità.
«L’occhio della Conoscenza contempla Brahma, pieno di Beatitudine, tutto penetrante, ma l’occhio dell’ignoranza non Lo scopre punto, non lo scorge affatto, come il cieco non vede la luce sensibile.
«Il “Sé”, essendo illuminato dalla meditazione (quando una conoscenza teorica, dunque ancora indiretta, lo fa apparire come se ricevesse la Luce da una sorgente altra che se stesso, ciò che è ancora una distinzione illusoria), e poi, essendo infiammato dal fuoco della Conoscenza (realizzando la sua identità essenziale con la Luce Suprema), è finalmente liberato da tutti gli accidenti (o modificazioni contingenti), e brilla nel suo proprio splendore come l’oro quando è purificato brilla nel fuoco [Si è visto che l’oro stesso è considerato come di natura luminosa].
«Quando il Sole della Conoscenza spirituale sorge nel cielo del cuore (vale a dire al centro dell’essere, designato come Brahma-pura), esso scaccia le tenebre (dell’ignoranza che vela l’unica realtà assoluta), penetra tutto, tutto avvolge e tutto illumina.
«Colui che ha compiuto il pellegrinaggio del suo Proprio “Sé”, un pellegrinaggio che non concerne la situazione, il luogo od il tempo (né alcun’altra circostanza o condizione particolare) [«Ogni distinzione di tempo o di luogo è illusoria; la concezione di tutti i possibili (compresi sinteticamente nella Possibilità Universale, assoluta e totale) si compie senza movimenti e fuori del tempo» (Lie-tseu, cap. III; trad. del P. Wieger, pag. 107)], che è dovunque [Parimenti, nelle tradizioni esoteriche occidentali, è detto che i veri Rosa-Croce si riunivano «nel Tempio dello Spirito Santo, che è dappertutto». - Questi Rosa-Croce non hanno, s’intende, nessuna comunanza con le multiple organizzazioni moderne che hanno assunto questo nome; si dice che, dopo la Guerra dei Trent’Anni, essi lasciarono l’Europa e si ritirarono in Asia] (e sempre, nell’immutabilità dell’«eterno presente»), nel quale non si sente né il calore, né il freddo (e nemmeno le altre impressioni sensibili od anche mentali), e che procura una felicità permanente ed una liberazione definitiva da ogni turbamento (o da ogni modificazione); colui è senza azione, tutto conosce (in Brahma), e realizza l’Eterna Beatitudine».

René Guenon da L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta (1965)





1 commento:

  1. Guenon utilizza il termine Brhama (la divinità della trinità induista) ma dovrebbe piuttosto usare brahman (l'assoluto)!

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