Tu sei tutto il meglio di me stesso

Come posso cantare equamente i tuoi meriti
se tu sei tutto il meglio di me stesso?
A cosa può servirmi la lode di me stesso?
E se lodo te, cos'altro è se non l'elogio mio?
Lasciamo dunque le nostre vite separate
e lasciamo che il nostro amore perda la sua unità,
affinché con questa separazione io possa dare
quanto a te dovuto e che tu solo meriti.
Oh, che tormento sarebbe la tua assenza,
se non fosse che mi mostra come portare 
I miei pensieri verso l’amore,
e questi pensieri che ingannano sia il tempo che i miei pensieri tristi,
mi insegnano anche come far tornare noi due nuovamente uno,
Lodando qui chi nei fatti non c’è.

Quando l'Artista riconosce che egli stesso, la sua creazione e la sua stessa motivazione a creare sono uno e sono uno persino con gli spettatori, tanto da ritenere futile il creare stesso ("A cosa può servirmi la lode di me stesso? E se lodo te, cos'altro è se non l'elogio mio?") egli si libera dai condizionamenti (l'idea di spazio, di "lontano" e di "vicino") in un singolo istante di dolorosa assenza (della mente individuale) che però lascia spazio alla consapevolezza di essere Solo e di compiere dunque l'unico gesto possibile: farsi due, guardarsi e amarsi interamente.


William Shakespeare, Sonetto n. 39 (1593) traduzione e commento di Patrizia Ferrante