L'infinito evanescente nella sua esistenza

Un infinito che per assurdo si attuasse in un unico momento sarebbe come un cessare del reale, perché ciò che è compiuto è già cessato se non si riversa in qualche cosa di nuovo. Sarebbe lo stringente affanno concettuale di un "nulla" che "sia", laddove tutto l'essere grida che sia invece qualcosa. Per tale ragione l'infinito deve immaginarsi evanescente nell'inesistenza perché l'essere possa essere ancora, realizzandolo.


Gaetano Meglio in La filosofia dell'infinito 1951