Quando affermiamo l'esistenza di Dio, affermiamo anche tutte le sue possibili descrizioni, ma possiamo anche immaginare che una descrizione sia stata presa da uno specifico punto di osservazione, ed è naturale per una mente imperfetta come la nostra, classificare tali descrizioni, differenti dal punto di vista qualitativo, secondo l'ordine e la posizione dei punti di osservazione, pur se qualitativamente identici, dai quali la descrizione è stata fatta.
In realtà, i punti di osservazione non esistono [di per sé] poiché esistono solo le descrizioni, ciascuna rappresentante a modo suo l'intera realtà, cioè Dio.
Come non collegare questa analisi del pensiero di Leibniz fatta da Bergson con quanto espresso nel post Maya:illusione o realtà, a proposito della necessità per la mente umana di utilizzare grandezze misurabili (quali la distanza e il tempo) per definire la dimensione dell'esistenza e, in ultimo, per generare la propria esperienza della realtà?
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