Abstract
Ci sono molti bias, ma uno in particolare, chiamato bias della separazione, ci porta a considerare noi stessi come distinti e separati dagli altri e da ogni altra cosa.
Questo bias sembra essere il prodotto di un progetto biologico evolutivo, presente nella struttura genetica dell'homo sapiens, alla base dell'esperienza dell'individualità con il suo infinito potenziale di differenziazione.
Il bias cognitivo di sentirci separati dagli altri e dal resto dell'universo ci fa muovere attraverso l'esperienza cercando di ampliare la nostra percezione della realtà al di là dei limiti del bias stesso. Ci sono diverse possibilità per fare questo, come gli stati alterati di coscienza, ma c'è sempre un "io" che è il soggetto di queste esperienze.
Per questo motivo il superamento del bias della separazione è un paradosso poiché se non c'è separazione, non c'è esperienza individuale.
l bias cognitivi sono pregiudizi inconsci che influenzano il modo in cui interpretiamo le informazioni e prendiamo decisioni, in sostanza il modo in cui viviamo la vita e rispondiamo alle sue richieste.
I bias sono considerati dagli studiosi come errori di valutazione, per la mancanza di logicità del trattamento delle informazioni e dunque oggettività del giudizio, ma sono costantemente utilizzati dalle persone per creare la propria realtà soggettiva e vivere la vita esprimendo se stesse secondo le proprie modalità, in particolare in relazione agli altri con i quali si interagisce.
C’è un bias primario, che possiamo chiamare il bias della separazione, proprio di tutti gli esseri umani: quello per cui ci consideriamo ciascuno un soggetto distinto e separato dagli altri e da tutto il resto (in senso ampio, l’universo materiale).
I fondamenti di questo bias non risiedono tanto nell’educazione o nell’ambiente di crescita, potendolo infatti riscontrare negli individui di ogni cultura e società, anche se vi è un suo costante rinforzo attraverso l’uso pressoché in tutti gli idiomi di forme linguistiche dualistiche e separative.
Sembra piuttosto essere il prodotto evolutivo di un progetto biologico i cui parametri sono custoditi nella struttura genetica dell’homo sapiens.
Un progetto che richiede questo errore cognitivo primario (ma perché allora chiamarlo errore?) per consentire lo sviluppo a cascata di ogni altro meccanismo cognitivo che determina la specifica esperienza dell’individualità, con il suo infinito potenziale di differenziazione da soggetto a soggetto.
Fuor di ogni visione creazionista, è l’esistenza stessa (o la natura, l’universo o come vogliamo chiamare la realtà fisica) a tendere verso la differenziazione della propria manifestazione come sua qualità intrinseca.
Non sappiamo (e pertanto nemmeno possiamo escludere) se vi siano da qualche parte del cosmo esseri senzienti i quali hanno una diversa percezione della propria unitarietà con il resto del creato, di certo, nella specifica manifestazione della realtà che è la nostra specie, tale bias cognitivo fa si che ciascun individuo si senta chiuso nei limiti della propria esperienza soggettiva, separato dagli altri e da tutto il resto.
In tale condizione ci si muove di esperienza in esperienza, compresa quella ricercata da pochi di tentare di ampliare la propria percezione oltre i limiti posti dal bias della separazione, compiendo incursioni in “stati alterati o ampliati di coscienza”, nei quali la percezione della realtà possa superare i limiti dei sensi e forse anche quelli della mente.
Nella narrazione che fanno coloro che hanno vissuto tale esperienza esiste tuttavia sempre un io che ne è il soggetto protagonista, per cui ci si chiede quale livello di unitarietà con il tutto sia stato effettivamente raggiunto.
Infatti, l’identità del soggetto nella dimensione unitaria della realtà si perderebbe in essa come una goccia d’acqua nel mare e verrebbe meno lo specifico punto di coscienza dal quale vivere il nuovo stato disidentificato.
Il paradosso del superamento del bias di separazione sembra dunque essere proprio l’impossibilità che ciò dia luogo a un’esperienza individuale ed esso resta pertanto una condizione ineluttabile della nostra esistenza. (E. V.)