La più grande rivoluzione per l'essere umano
a livello individuale e come specie
è rendersi conto che tutto fa parte di un'unica realtà.

La nostra visione della realtà determina di fatto la qualità della nostra esperienza esistenziale. Riconoscere la medesima essenza o natura in tutto ciò che esiste, oltre l'apparente diversificazione di forma, permette di cogliere un nuovo significato e di fare una nuova esperienza della vita. QUESTO è il vero cambiamento da realizzare!

AUTORI: 247 POST:  COMMENTI:   BUONA LETTURA!

Oltre l'ego e l'essere umano

 La visione sistemica aiuta a superare quella egocentrica, 

la visione unitaria aiuta a superare quella antropocentrica. 


I principi della non-dualità secondo ChatGPT

La non-dualità sostiene che la realtà ultima è un'unità indivisa e che la dualità del mondo è solo un'illusione.

I principi della non-dualità sono:

Unicità della realtà: la non-dualità insegna che la realtà ultima è un'unità indivisa, che non può essere divisa o separata in parti distinte.

Dualità come illusione: la dualità, come la distinzione tra soggetto e oggetto, tra io e il mondo, è vista come un'illusione causata dalla mente umana e dalle sue categorie.

Verità ultima come unità: la verità ultima è intesa come un'unità che include tutte le cose e non esiste al di fuori o al di là del mondo fenomenico.

Soggetto e oggetto come uno: soggetto e oggetto sono visti come un'unità indivisa e non come due entità distinte.

Mente e realtà come un'unità: mente e realtà sono viste come un'unità indivisa, e la mente non viene vista come separata dalla realtà.

Tutto è impermanente: tutte le cose sono viste come impermanenti e mutevoli, e non esiste alcuna entità permanente o stabile.

Tutto è interconnesso: tutte le cose sono viste come interconnesse e interdipendenti, e ogni cosa influenza ogni altra cosa.

Questi principi sono comuni a molte tradizioni spirituali e filosofiche, tra cui l'Advaita Vedanta, lo Zen e il Taoismo.


Il bias primario dell'essere umano

 Abstract
Ci sono molti bias, ma uno in particolare, chiamato bias della separazione, ci porta a considerare noi stessi come distinti e separati dagli altri e da ogni altra cosa.
Questo bias sembra essere il prodotto di un progetto biologico evolutivo, presente nella struttura genetica dell'homo sapiens, alla base dell'esperienza dell'individualità con il suo infinito potenziale di differenziazione.
Il bias cognitivo di sentirci separati dagli altri e dal resto dell'universo ci fa muovere attraverso l'esperienza cercando di ampliare la nostra percezione della realtà al di là dei limiti del bias stesso. Ci sono diverse possibilità per fare questo, come gli stati alterati di coscienza, ma c'è sempre un "io" che è il soggetto di queste esperienze. 
Per questo motivo il superamento del bias della separazione è un paradosso poiché se non c'è separazione, non c'è esperienza individuale.

l bias cognitivi sono pregiudizi inconsci che influenzano il modo in cui interpretiamo le informazioni e prendiamo decisioni, in sostanza il modo in cui viviamo la vita e rispondiamo alle sue richieste. 
I bias sono considerati dagli studiosi come errori di valutazione, per la mancanza di logicità del trattamento delle informazioni e dunque oggettività del giudizio, ma sono costantemente utilizzati dalle persone per creare la propria realtà soggettiva e vivere la vita esprimendo se stesse secondo le proprie modalità, in particolare in relazione agli altri con i quali si interagisce.
C’è un bias primario, che possiamo chiamare il bias della separazione, proprio di tutti gli esseri umani: quello per cui ci consideriamo ciascuno un soggetto distinto e separato dagli altri e da tutto il resto (in senso ampio, l’universo materiale).
I fondamenti di questo bias non risiedono tanto nell’educazione o nell’ambiente di crescita, potendolo infatti riscontrare negli individui di ogni cultura e società, anche se vi è un suo costante rinforzo attraverso l’uso pressoché in tutti gli idiomi di forme linguistiche dualistiche e separative.
Sembra piuttosto essere il prodotto evolutivo di un progetto biologico i cui parametri sono custoditi nella struttura genetica dell’homo sapiens.
Un progetto che richiede questo errore cognitivo primario (ma perché allora chiamarlo errore?) per consentire lo sviluppo a cascata di ogni altro meccanismo cognitivo che determina la specifica esperienza dell’individualità, con il suo infinito potenziale di differenziazione da soggetto a soggetto.
Fuor di ogni visione creazionista, è l’esistenza stessa (o la natura, l’universo o come vogliamo chiamare la realtà fisica) a tendere verso la differenziazione della propria manifestazione come sua qualità intrinseca.
Non sappiamo (e pertanto nemmeno possiamo escludere) se vi siano da qualche parte del cosmo esseri senzienti i quali hanno una diversa percezione della propria unitarietà con il resto del creato, di certo, nella specifica manifestazione della realtà che è la nostra specie, tale bias cognitivo fa si che ciascun individuo si senta chiuso nei limiti della propria esperienza soggettiva, separato dagli altri e da tutto il resto.
In tale condizione ci si muove di esperienza in esperienza, compresa quella ricercata da pochi di tentare di ampliare la propria percezione oltre i limiti posti dal bias della separazione, compiendo incursioni in “stati alterati o ampliati di coscienza”, nei quali la percezione della realtà possa superare i limiti dei sensi e forse anche quelli della mente.
Nella narrazione che fanno coloro che hanno vissuto tale esperienza esiste tuttavia sempre un io che ne è il soggetto protagonista, per cui ci si chiede quale livello di unitarietà con il tutto sia stato effettivamente raggiunto. 
Infatti, l’identità del soggetto nella dimensione unitaria della realtà si perderebbe in essa come una goccia d’acqua nel mare e verrebbe meno lo specifico punto di coscienza dal quale vivere il nuovo stato disidentificato.
Il paradosso del superamento del bias di separazione sembra dunque essere proprio l’impossibilità che ciò dia luogo a un’esperienza individuale ed esso resta pertanto una condizione ineluttabile della nostra esistenza. (E. V.)

Bias primario


L'esistenza come esperienza unitaria

Per circa un secolo l'idealismo oggettivo ci ha rivelato la sua verità più profonda: l'esistenza come esperienza unitaria, che all'analisi si risolve nelle due grandi categorie generali chiamate il soggetto e l'oggetto. 

Mary Parket Follett, Creative experience 1924

La via tantrica all'unità secondo Evola

 L'Occidente è stato portato sempre più a sottolineare come ideale supremo non quello della liberazione ma quello della libertà. La via della liberazione è quella nella quale basta staccarsi dal mondo, realizzare l'autonomia della coscienza di fronte ad esso: è la tendenza generale prevalsa in India dopo il periodo vedidico-brahmanico. Ma vi è anche un altro modo di emanciparsi dal mondo, e cioè assumerlo, dominarlo. È una posizione perfino più radicale, perché supera ogni residuo di dualismo: non si è "liberati", ma si è semplicemente "liberi" quando le cose sono in nostro potere.

Julius Evola, Lo yoga della potenza, Ed. Bocca 1949

Chi sente l'albero che cade nella foresta?

Chi vede le cose che faccio?

Cosa accade dei processi di cui sono parte se nessun altro oltre a me li condivide o ne è testimone?

Ogni processo di cui sono parte è di fatto già nell'esperienza della coscienza dell'Uno senza bisogno di riconoscimento da parte di altri soggetti come me.

Tutto infatti accade nell'unica manifestazione della realtà, e pertanto nessun processo è escluso dalla percezione della coscienza universale, che, di fatto, è un'auto-percezione.

 

Tutto è parte del viaggio

Immaginiamo la vita come un viaggio.

Qualunque cosa noi facciamo, anche il fermarci per una sosta o il tornare indietro sul nostro percorso farà comunque parte di questo viaggio. Niente di ciò che ci accade ne è al di fuori.

Allo stesso modo, tutto ciò che esiste, in qualunque forma, è parte dell'unica manifestazione della realtà. Nulla può esistere al di fuori di essa.



Le gabbie della mente

Sviluppandosi, la mente costruisce gradualmente una propria struttura cognitiva della realtà e, al suo interno, un'altra dell'identità del soggetto. 

Questo processo inizia già nel grembo materno e queste strutture costituiscono di fatto una doppia gabbia per la nostra esperienza della vita.

Proprio il vivere l'esperienza della vita dall'interno di queste gabbie ci impedisce di riconoscerla quale parte di un unico processo di manifestazione della realtà.

La liberazione arriva quando si riconnette l'esperienza individuale a ciò che c'è fuori dalle gabbie, come parte del flusso dell'esistenza.

Attenzione però!  L'esperienza di percezione separata e ingabbiata è illusoria,  cioè vale solo nella nostra percezione poiché è comunque anch'essa parte dell'unico processo di manifestazione della realtà. Cone tutto ciò che accade.


L'Assoluto comprende tutto ciò che è

 Il TUTTO (l'Assoluto) deve essere sempre TUTTO. 
Nulla può esservi a parte del TUTTO. Tutto ciò che è deve essere nel TUTTO, non esiste un "a parte" del TUTTO per cui nulla può esistere al di fuori di esso. 
Niente può pervenire da altra cosa che non sia il TUTTO. 
Nulla può essere esistito prima di esso e nulla può esservi dopo di esso.
Sebbene il nostro finito e relativo campo di coscienza lo suddivida per i propri fini in parti immaginarie, in senso assoluto e reale non esiste suddivisione né separazione e il TUTTO resta immutato ed UNO.

Yogi Ramacharaka (William Walker Atkinson) Corso superiore di filosofia yoga