Non è dato ad una coscienza finita e limitata come quella dell'uomo di andare al di là della pura e semplice predicabilità della coscienza infinita ed assoluta: essa è costretta a riconoscerla come sussistente per motivi logici ma non può naturalmente acquisirne con le proprie forze intellettuali un concetto preciso. Non si parli poi di rappresentazione, dato che quest'ultima si trova nell'orbita della sensibilità. Non si è però autorizzati a pensare che le singole coscienze, alle quali la vita universale si presenta come un'immensa varietà di forme, non abbiano una realtà effettiva. Anche dato e non concesso che esse fossero una specie di sogno dell'assoluto, dovremmo razionalmente pensare che nulla potrebbe essere realtà viva come questo sogno. Riguardare la molteplicità come un inganno, una finzione, un miraggio, senza consistenza alcuna come la riguardano gli idealisti−soggettivisti, significa svalorizzare l'assoluto. Equivale in certo qual modo ad antropomorfizzare quest' ultimo nel senso di pensarlo come una persona umana soggetta a sogni e visioni, nel qual caso la vita sarebbe il sogno dell'assoluto e noi i personaggi, o, per meglio dire, le marionette che agiscono e si muovono entro questa grande cornice onirica.