La più grande rivoluzione per l'essere umano
a livello individuale e come specie
è rendersi conto che tutto fa parte di un'unica realtà.

La nostra visione della realtà determina di fatto la qualità della nostra esperienza esistenziale. Riconoscere la medesima essenza o natura in tutto ciò che esiste, oltre l'apparente diversificazione di forma, permette di cogliere un nuovo significato e di fare una nuova esperienza della vita. QUESTO è il vero cambiamento da realizzare!

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Oltre l'ego e l'essere umano

 La visione sistemica aiuta a superare quella egocentrica, 

la visione unitaria aiuta a superare quella antropocentrica. 


I principi della non-dualità secondo ChatGPT

La non-dualità sostiene che la realtà ultima è un'unità indivisa e che la dualità del mondo è solo un'illusione.

I principi della non-dualità sono:

Unicità della realtà: la non-dualità insegna che la realtà ultima è un'unità indivisa, che non può essere divisa o separata in parti distinte.

Dualità come illusione: la dualità, come la distinzione tra soggetto e oggetto, tra io e il mondo, è vista come un'illusione causata dalla mente umana e dalle sue categorie.

Verità ultima come unità: la verità ultima è intesa come un'unità che include tutte le cose e non esiste al di fuori o al di là del mondo fenomenico.

Soggetto e oggetto come uno: soggetto e oggetto sono visti come un'unità indivisa e non come due entità distinte.

Mente e realtà come un'unità: mente e realtà sono viste come un'unità indivisa, e la mente non viene vista come separata dalla realtà.

Tutto è impermanente: tutte le cose sono viste come impermanenti e mutevoli, e non esiste alcuna entità permanente o stabile.

Tutto è interconnesso: tutte le cose sono viste come interconnesse e interdipendenti, e ogni cosa influenza ogni altra cosa.

Questi principi sono comuni a molte tradizioni spirituali e filosofiche, tra cui l'Advaita Vedanta, lo Zen e il Taoismo.


Il bias primario dell'essere umano

 Abstract
Ci sono molti bias, ma uno in particolare, chiamato bias della separazione, ci porta a considerare noi stessi come distinti e separati dagli altri e da ogni altra cosa.
Questo bias sembra essere il prodotto di un progetto biologico evolutivo, presente nella struttura genetica dell'homo sapiens, alla base dell'esperienza dell'individualità con il suo infinito potenziale di differenziazione.
Il bias cognitivo di sentirci separati dagli altri e dal resto dell'universo ci fa muovere attraverso l'esperienza cercando di ampliare la nostra percezione della realtà al di là dei limiti del bias stesso. Ci sono diverse possibilità per fare questo, come gli stati alterati di coscienza, ma c'è sempre un "io" che è il soggetto di queste esperienze. 
Per questo motivo il superamento del bias della separazione è un paradosso poiché se non c'è separazione, non c'è esperienza individuale.

l bias cognitivi sono pregiudizi inconsci che influenzano il modo in cui interpretiamo le informazioni e prendiamo decisioni, in sostanza il modo in cui viviamo la vita e rispondiamo alle sue richieste. 
I bias sono considerati dagli studiosi come errori di valutazione, per la mancanza di logicità del trattamento delle informazioni e dunque oggettività del giudizio, ma sono costantemente utilizzati dalle persone per creare la propria realtà soggettiva e vivere la vita esprimendo se stesse secondo le proprie modalità, in particolare in relazione agli altri con i quali si interagisce.
C’è un bias primario, che possiamo chiamare il bias della separazione, proprio di tutti gli esseri umani: quello per cui ci consideriamo ciascuno un soggetto distinto e separato dagli altri e da tutto il resto (in senso ampio, l’universo materiale).
I fondamenti di questo bias non risiedono tanto nell’educazione o nell’ambiente di crescita, potendolo infatti riscontrare negli individui di ogni cultura e società, anche se vi è un suo costante rinforzo attraverso l’uso pressoché in tutti gli idiomi di forme linguistiche dualistiche e separative.
Sembra piuttosto essere il prodotto evolutivo di un progetto biologico i cui parametri sono custoditi nella struttura genetica dell’homo sapiens.
Un progetto che richiede questo errore cognitivo primario (ma perché allora chiamarlo errore?) per consentire lo sviluppo a cascata di ogni altro meccanismo cognitivo che determina la specifica esperienza dell’individualità, con il suo infinito potenziale di differenziazione da soggetto a soggetto.
Fuor di ogni visione creazionista, è l’esistenza stessa (o la natura, l’universo o come vogliamo chiamare la realtà fisica) a tendere verso la differenziazione della propria manifestazione come sua qualità intrinseca.
Non sappiamo (e pertanto nemmeno possiamo escludere) se vi siano da qualche parte del cosmo esseri senzienti i quali hanno una diversa percezione della propria unitarietà con il resto del creato, di certo, nella specifica manifestazione della realtà che è la nostra specie, tale bias cognitivo fa si che ciascun individuo si senta chiuso nei limiti della propria esperienza soggettiva, separato dagli altri e da tutto il resto.
In tale condizione ci si muove di esperienza in esperienza, compresa quella ricercata da pochi di tentare di ampliare la propria percezione oltre i limiti posti dal bias della separazione, compiendo incursioni in “stati alterati o ampliati di coscienza”, nei quali la percezione della realtà possa superare i limiti dei sensi e forse anche quelli della mente.
Nella narrazione che fanno coloro che hanno vissuto tale esperienza esiste tuttavia sempre un io che ne è il soggetto protagonista, per cui ci si chiede quale livello di unitarietà con il tutto sia stato effettivamente raggiunto. 
Infatti, l’identità del soggetto nella dimensione unitaria della realtà si perderebbe in essa come una goccia d’acqua nel mare e verrebbe meno lo specifico punto di coscienza dal quale vivere il nuovo stato disidentificato.
Il paradosso del superamento del bias di separazione sembra dunque essere proprio l’impossibilità che ciò dia luogo a un’esperienza individuale ed esso resta pertanto una condizione ineluttabile della nostra esistenza. (E. V.)

Bias primario


L'esistenza come esperienza unitaria

Per circa un secolo l'idealismo oggettivo ci ha rivelato la sua verità più profonda: l'esistenza come esperienza unitaria, che all'analisi si risolve nelle due grandi categorie generali chiamate il soggetto e l'oggetto. 

Mary Parket Follett, Creative experience 1924

La via tantrica all'unità secondo Evola

 L'Occidente è stato portato sempre più a sottolineare come ideale supremo non quello della liberazione ma quello della libertà. La via della liberazione è quella nella quale basta staccarsi dal mondo, realizzare l'autonomia della coscienza di fronte ad esso: è la tendenza generale prevalsa in India dopo il periodo vedidico-brahmanico. Ma vi è anche un altro modo di emanciparsi dal mondo, e cioè assumerlo, dominarlo. È una posizione perfino più radicale, perché supera ogni residuo di dualismo: non si è "liberati", ma si è semplicemente "liberi" quando le cose sono in nostro potere.

Julius Evola, Lo yoga della potenza, Ed. Bocca 1949

Chi sente l'albero che cade nella foresta?

Chi vede le cose che faccio?

Cosa accade dei processi di cui sono parte se nessun altro oltre a me li condivide o ne è testimone?

Ogni processo di cui sono parte è di fatto già nell'esperienza della coscienza dell'Uno senza bisogno di riconoscimento da parte di altri soggetti come me.

Tutto infatti accade nell'unica manifestazione della realtà, e pertanto nessun processo è escluso dalla percezione della coscienza universale, che, di fatto, è un'auto-percezione.

 

Tutto è parte del viaggio

Immaginiamo la vita come un viaggio.

Qualunque cosa noi facciamo, anche il fermarci per una sosta o il tornare indietro sul nostro percorso farà comunque parte di questo viaggio. Niente di ciò che ci accade ne è al di fuori.

Allo stesso modo, tutto ciò che esiste, in qualunque forma, è parte dell'unica manifestazione della realtà. Nulla può esistere al di fuori di essa.



Le gabbie della mente

Sviluppandosi, la mente costruisce gradualmente una propria struttura cognitiva della realtà e, al suo interno, un'altra dell'identità del soggetto. 

Questo processo inizia già nel grembo materno e queste strutture costituiscono di fatto una doppia gabbia per la nostra esperienza della vita.

Proprio il vivere l'esperienza della vita dall'interno di queste gabbie ci impedisce di riconoscerla quale parte di un unico processo di manifestazione della realtà.

La liberazione arriva quando si riconnette l'esperienza individuale a ciò che c'è fuori dalle gabbie, come parte del flusso dell'esistenza.

Attenzione però!  L'esperienza di percezione separata e ingabbiata è illusoria,  cioè vale solo nella nostra percezione poiché è comunque anch'essa parte dell'unico processo di manifestazione della realtà. Cone tutto ciò che accade.


L'Assoluto comprende tutto ciò che è

 Il TUTTO (l'Assoluto) deve essere sempre TUTTO. 
Nulla può esservi a parte del TUTTO. Tutto ciò che è deve essere nel TUTTO, non esiste un "a parte" del TUTTO per cui nulla può esistere al di fuori di esso. 
Niente può pervenire da altra cosa che non sia il TUTTO. 
Nulla può essere esistito prima di esso e nulla può esservi dopo di esso.
Sebbene il nostro finito e relativo campo di coscienza lo suddivida per i propri fini in parti immaginarie, in senso assoluto e reale non esiste suddivisione né separazione e il TUTTO resta immutato ed UNO.

Yogi Ramacharaka (William Walker Atkinson) Corso superiore di filosofia yoga

La giusta funzione dell'essere umano

 
The proper function of man is to live, not to exist. 

I shall not waste my days in trying to prolong them. 

I shall use my time.

Jack London, The road, 1907

Chissà se Jack London aveva consapevolezza del significato profondo ed esatto delle sue parole mentre  faceva questa potente dichiarazione nel suo libro scritto on the road e intitolato, appunto, La strada.

La "giusta funzione dell'essere umano", non lo scopo, dunque, ma la funzione.
Non c'è uno scopo ma una funzione, perché  lo scopo, come per ogni elemento di un  sistema, è quello del sistema stesso di cui è parte. Non ve ne è uno specifico di ciascuna parte, diverso da quello del sistema, ma ciascuna parte ha una funzione necessaria al suo perseguimento.

Per un essere vivente la funzione è, appunto, vivere. L'esistenza è intrinseca alla vita, ma non viceversa. Almeno nella nostra concezione di vita. 
L'esistenza è un dato di fatto se si vive, l'espressione di un flusso unico e senza vuoti o pause della medesima manifestazione.

Prolungare la vita con l'obiettivo di prolungare l'esistenza è l'illusione data dall'identificazione. 
Può avere un senso rispetto alla particolare funzione di qualcuno ma non lo ha di per sé, per tutti. Anzi, come conclude Jack, non sprechiamo il tempo della nostra vita, rinunciando alla nostra funzione per perseguire questo obiettivo, ma usiamo piuttosto il tempo della vita tempo per... e qui Jack, correttamente, non indica funzioni universali che tutti dovrebbero realizzare, ma semplicemente dichiara con potente semplicità: "Io userò il mio tempo!".




L'esistenza del singolo non è necessaria

 L'essenza dell'uomo non ne implica necessariamente l'esistenza. 
Ciò significa che nel rispetto dell'ordine delle cose
può essere tanto che esista quanto che non esista il singolo individuo.

Spinoza, Assiomi

La distinzione fra essenza ed esistenza rispecchia la distinzione fra natura e manifestazione della realtà, che deve essere alla base di ogni speculazione sull'unità del tutto.
In questo assioma, l'attenzione di Spinoza si concentra sull'essere umano in quanto espressione della manifestazione del tutto, nel riconoscimento della medesima natura o essenza di tutto ciò che esiste.
L'essenza del tutto, di cui anche l'essere umano è espressione, permane indipendentemente dalla propria manifestazione che non è dunque necessaria in nessuna particolare forma, singolo individuo compreso.




La visione unitaria secondo Maslow

Il modo atomistico di pensare è una forma di leggera psicopatia 
o almeno una sindrome di immaturità cognitiva.

Abraham Maslow

Una sola manifestazione della realtà

Tutto ciò che consideriamo relativamente all'essere umano, compresa quella che chiamiamo la sua coscienza, è emanazione della realtà che esisteva già prima della sua evoluzione su questo pianeta.

L'Ordine della pura intuizione

The Order of Pure Intuition 

SALVE, sacro Ordine della Verità eterna! 

Nel profondo dell'anima, 

Nella maestosità assiomatica sublime, del Tutto indiviso,

Su dal profondo nascosto

Da sorgenti primordiali dell'Essere primordiale, 

Un mondo interiore di pensiero, da coordinare

Con quello delle cose esteriori! 

Ave, Intuizione pura! 

Le cui essenze sono il nucleo centrale dell'offerta 

di coscienza, lingua, scienza, certezza, arte, bellezza, armonia! 

Grande Dio! Ringrazio la Tua Maestà suprema,

La cui grazia tutta creativa non è solo nelle facoltà senzienti

Ha posto le basi della mia ragione; 

Non in astrazioni sottili per gradi lenti

Da forme più grossolane raffinate; 

Non nella tradizione, né l'ampio consenso dell'umanità cosciente; 

Ma nell'essenziale Presenza di sé, nell'abisso dell'anima; 

Tu, come la sua intelligenza sei la fonte, come della sua beatitudine; 

Tu, per nutrimento, meditazione, grazia, riflessivamente rivelati; 

Sempre agendo sulle sorgenti del pensiero, 

Anche quando dal pensiero ti nascondi!

EDWARD CASWALL 1814-1878 (Libera trad. E.V.)


Varietà nell'unità

 La caratteristica della realtà è la varietà nell'unità.

Unità nella sua essenza (o natura), varietà nella sua manifestazione.

La qualità principale della varietà è la diversificazione, che raggiunge il suo massimo quando comprende anche gli estremi opposti, riportando così la varietà stessa all'unità del tutto.

Il sistema di tutti gli esistenti

In qualsiasi momento l'universo è l'insieme delle sue parti esistenti, [tuttavia] in quel momento esso non è l'insieme di tutte le parti [possibili].

Infatti, considerando la distribuzione delle date tra i luoghi, si generano [in ogni momento] nuovi esistenti all'interno dell'unico spazio-tempo.

Di fatto, l'universo può essere chiamato non l'insieme delle parti, ma l'insieme o il sistema di tutti gli esistenti.


S. Alexander in Space, time and deity, 1927. Trad. E.V.



LEGGERE QUESTO LIBRO
 POTREBBE CAMBIARE 

LA TUA VISIONE DELLA VITA

Una auto−indotta coscienza di separazione

Senza la coscienza della Mente−di−Dio−in−noi, o Gesù Cristo, l'umanità sarà sempre agitata dalla tempesta e soggetta al chaos prodotto dai suoi stessi pensieri di ignoranza. Quando la razza umana ha permesso a se stessa di rimanere irretita in tali effetti, ha perduto i suoi doni in un mare di illusioni. Si è rivolta alle forme individuate dalla Mente, ma che non ne fanno parte, affermando: ″Ecco un regno opposto a quello di Dio. Dobbiamo stare attenti, deve essere il male.″ In questo modo è nato il male, uno stato di auto−indotta coscienza di separazione dalla Mente Divina. Da ciò è derivata la paura che paralizza il ostro agire e distrugge la pace. Mentre non c'è paura quando la coscienza è centrata sul principio divino. 



Charles Fillmore, The philosophy of denial, Unity Book company, 1894.

Due modelli di misticismo

Se definiamo il mistico come colui che ricerca l'esperienza dell'assoluto,  possiamo notare come nella mistica teistica vi sia una contrapposizione fra l'individuo e la divinità che non sono mai completamente ricondotti all'unità, anche nell'esperienza mistica stessa, che rimane, appunto, l'esperienza del mistico. Nelle forme di mistica non teistica, invece, le polarità opposte sono considerate come complementari e pertanto, le due facce della stessa medaglia, dunque una cosa sola, che si manifesta attraverso un'intrinseca differenziazione, mai sostanziale.